"La stimolazione di una memoria storica sospesa sulla quasi metafisica fissità della citazione è il percorso di Valter Vari (nell’intervento ‘Eni(g)ma’). Come fotogrammi visti alla moviola gli elementi di scrittura egizia ripresi dall’obelisco di San Giovanni scorrono lungo le pareti della galleria. La mediazione del supporto acetato e il filtro della rete in polietilene rossa vivono la consapevolezza della sonorità timbrica e, insieme, la sua reiscrizione in una nuova specificità di segno. Ne consegue un complesso gioco di rimandi ottici e mentali che Vari trasforma in una epifania di forme scandite da precisi ritmi e che poi l’artista porta a concretezza con quei frammenti di intonaco staccati dalla parete e lasciati in terra. Chiara allusione alla continuità della storia e a quel concetto laico del Sacro comune ai quattro protagonisti di questa rassegna"
Vito Apuleio
"Del complesso intervento progettato da Valter Vari (‘Eni(g)ma’) sono attratto in particolar modo dall’uso del fotogramma con la scrittura egizia. Ciò deriva dal fatto che il suo lavoro appare estremamente logico e chiaramente decifrabile. La fascia di fotogrammi che, come in un racconto filmato, scandisce la scena e il tempo. La trama di polietilene rossa definisce la griglia modulare che misura lo spazio della rappresentazione.
La lacerazione sull’intonaco, più che una ferita rappresenta lo sconfinamento dei limiti del percepibile, oltre lo spazio e oltre il tempo. Un processo di svelamento a ritroso per scoprire le stratificazioni della storia del luogo. Alla ricerca del profondo, della struttura che tutto supporta, forse dell’anima che è mascherata nell’anonimo vano. I cassonetti luminosi inseriti nelle nicchie rappresentano l’interesse per la deroga, per l’alternanza dei significati duali e opposti: luce-tenebre, pieno-vuoto, positivo-negativo. Un intervento essenziale nell’espressione e limpido nella formulazione concettuale e metodologica.
Viceversa sfugge alla comprensione immediata e razionale l’uso delle icone con i geroglifici. Tutto ciò spinge a cercare di decifrare l’enigma, per comprendere quale ruolo abbia, per esempio, il simbolo del gufo unito a quello del braccio o il cerchio con la croce, raffigurazione di un villaggio con un incrocio di strade.
Apprendo innanzitutto che l’immagine è tratta dall’obelisco di San Giovanni in Laterano; non ha senso, perciò, tentare di interpretare il significato dei segni (gufo=M, braccio=A, etc.) in quanto l’icona è un frammento dell’intera iscrizione e perciò non possiede un senso compiuto. La relazione che l’artista ha privilegiato è quindi il legame con il luogo (topos) più che con il significato del testo (logos).
L’indagine va dunque rivolta verso le leggi della topica, verso la teoria dei luoghi logici e l’arte di inventarli.
Per Valter Vari il ragionamento sul luogo fisico coincide con l’interpretazione del linguaggio, con la decriptazione dei segni, ma anche con il gioco e la con-fusione dei suoi significati.
Guardando una iscrizione egizia si nota immediatamente che i gruppi di geroglifici sono composti in modo da identificare circuitazioni di lettura differenti, da sinistra a destra e viceversa, dall’alto in basso e viceversa. Il verso di lettura si può capire osservando le "effigi: se sono rivolte a destra è necessario leggere da destra, se sono rivolte verso l’alto si parte dall’alto. In altri termini è lo sguardo che determina l’orientamento, il senso di lettura e le correlazioni dell’interpretazione. Inoltre è risaputo che, nello studio comparato dei geroglifici, solo talvolta il significato coincide con ciò che rappresentano; più spesso essi identificano unicamente le consonanti, viceversa le vocali quasi mai venivano scritte. Tutto ciò ha reso enigmatica ed incomprensibile per secoli la lingua dei faraoni. Anche se gli studi di Champollion (1822) hanno dimostrato che l’antico egizio non era una crittura pittorica vera e propria, in quanto gran parte dei pittogrammi non ha valore di simbolo ma corrisponde semplicemente a una lettera alfabetica e di conseguenza a un suono. Ciò che, da sempre, affascina maggiormente gli studiosi di cose egizie è il senso estetico della composizione di figure e segni, la loro posizione nell’impaginato della stele, le arcane relazioni tra gli ideogrammi. A ben guardare sono più importanti le spaziature, i vuoti tra un lemma e il successivo, che le icone vere e proprie. Come un antico scriba, l’artista contemporaneo non ha interesse a svelare il mistero: scompone e ricompone frammenti di immagini e di figure per ideare nuove storie. Il processo messo in atto da Valter Vari segue la logica della criptazione, del nascondimento, della pluralità e compresenza delle interpretazioni.
D’altronde lo stesso titolo della rassegna, ANIME, se lo si legge come uno scritto egizio, non diventa forse AM = ENI(G)MA
Massimo Locci
"L’intervento proposto da Valter Vari tende ad evidenziare l’ineluttabile processo di stratificazione che caratterizza la storia.
Vista la necessità di restituire all’Etiopia la stele di Axum, sembra opportuno all’artista che lo spazio lasciato vuoto dall’asportazione venga in qualche modo integrato dal ricordo della stessa.
L’idea progettuale consiste nella materializzazione della Memoria attraverso la creazione di una figura negativa ottenuta dallo skyline della stele: in questo modo, nel pensiero dei romani non rimarrà soltanto un ricordo di essa, ma una testimonianza tangibile destinata a durare nel tempo.
Come il restauratore reintegra le antiche pitture con un segno neutro (il rigatino del restauro) ricostruendo così l’unità d’immagine, così lo skyline negativo reintegra l’immagine storicizzata della stele, ma senza falsificare l’opera.
La struttura dovrà apparire 'neutra', 'fasciata' da grosse panneggiature che esprimano l’intento di avvolgere il vuoto che la stele ha lasciato; a tale scopo verrà utilizzato un rivestimento in travertino, che astrattamente ricordi il panneggio classico, inserito su una struttura in cemento armato portante" (l’opera realizzata rappresenta una sorta di modello della immaginata struttura definitiva, Ndr).
Mario Giovagnoli
"L’opera di Valter Vari ha radici nell’espressionismo astratto e nell’informale.
Egli sembra programmaticamente orientato verso un assolutismo formale, un azzeramento della rappresentazione e della valenza materica. Il suo linguaggio è trasversale, in quanto sintesi di precedenti ricerche artistiche, ma è anche selettivo, in quanto conseguenza logica di valutazioni estetiche che gli appartengono e che sono la premessa per la riscoperta delle avanguardie artistiche del ‘900.
La propensione astratta è, come già per il Suprematismo di Malevic, la manifestazione della supremazia del significato rispetto al significante, della sensibilità interpretativa nei confronti della rappresentazione, l’esaltazione del concetto a detrimento dei caratteri figurativi della comunicazione.
Nelle formelle quadrate in terracotta l'assolutismo geometrico viene contaminato dal pattern materico e dalle fratture che l’artista stesso produce. Le trame derivanti dalla ricomposizione delle forme (saldature-cuciture) rappresentano un suo linguaggio per segni, una sorta di grafismo elementare. Questi segni non appartengono all’universo simbolico, in quanto non fanno riferimento ad alcuna raffigurazione del reale, né rappresentano una forma di scrittura, in quanto frutto di un processo non codificabile e non ripetibile. Questi segni sono la manifestazione di un impulso automatico, di un gesto trasgressivo che lo porta a spezzare le lastre: programmaticamente non possono rispondere ad una logica razionale, a un rigore compositivo. Anche in questo caso siamo di fronte ad una azione corrosiva, di rottura di simboli, una manifestazione di disagio dell'artista rispetto a ciò che gli accade intorno".
Massimo Locci
"Realizzata con materiale di recupero di derivazione edile (martinetti per tritare il cemento), il grande scheletro di dinosauro assurge a forma simbolica capace di coniugare arte e primordialismo. L’iconologia dell’immaginario archetipico così, mediata dalla coscienza individuale dell’artista, rivela con immediatezza il senso di appartenenza ad un’entità cosmica universale e pre-umana. Valori primordiali, contesti sociali e culturali moderni si confondono in questo susseguirsi di tasselli di un unico ingranaggio che è il reale.
L’arte diviene il luogo in cui l’artista interiorizza il paradosso insanabile tra la temporalità del sistema industriale e consumistico e l’infinità dell’opera d’arte".
Serena Mariani
"Valter Vari è un artista paziente, capace di collezionare e mettere in successione pezzi di macine di cemento per ricostruire il suo "Scheletro di dinosauro", come di allineare tondi recipienti di vetro che contengono sabbia, dopo aver lasciato nella sabbia la loro impronta in una allegoria efficace della dimensione spazio-tempo".
Roberto Gramiccia
".... dimensione esistenziale della vita che Valter Vari traduce in tensioni emotive; opta a favore di un linguaggio essenziale quando traccia percorsi verticali, che ospitano vibrazioni segnico-
formali, presenze che divengono ricordi, accadimenti formali ben delineati; impronte sagomate sono nette presenze colorate senza tempo, vagamente riconoscibili, che si disciolgono e sembrano danzare sul pavimento sotto lo sguardo attento dello spettatore. Il percorso stilistico di Vari va dal figurativo, all’astratto-informale per utilizzare nell’ultima fase della ricerca materiali moderni come plastiche, inchiostri tipografici, carte da parati ecc. Questo artista sviluppa le sue ‘melodie’ all’insegna di un progetto grafico che vede qui riproporre una sorta di pannello, appunto un ‘Pentagramma della vita’, un palcoscenico sul quale si depositano e sedimentano, adagiandosi, forme ripetute secondo serialità gestuale, orme che testimoniano ricordi di precisi accadimenti. Non si tratta di un nuovo alfabeto segnico ma di immagini sequenziali chiare o appena accennate, di per se stesse significanti e pronte a ricordare in chi guarda che tutto è ... mutevole e fuggevole come la nostra contemporaneità!"
Simonetta Serrangeli
"La ricerca di Valter Vari si concentra sulla elaborazione fantastica di un tema astratto o realistico, in un confronto costante con i materiali più vari, eterogenei, che difficilmente vengono messi in relazione, ma che generano la sensazione del contrasto Forte-Debole"
Silvana Turco
"Valter Vari segue un iter creativo in cui la materia si distende sulla superficie attraverso stratificazioni e sovrapposizioni e in cui l’immagine mantiene in un impulso gestuale, una diversa accezione del caso e dell’accidentalità. Per alcune opere esposte in mostra l’artista usa e rielabora la tecnica della stampa privando il procedimento della matrice e affidando la definizione dell’immagine al "passaggio" diretto del rullo su di un supporto cartaceo. Le risoluzioni formali non vengono quindi incise ma impresse attraverso un procedimento simile al monotipo che consente all’artista di eludere campiture piatte, omogenee e di affidare il formarsi dell’opera alla sovrapposizione di più inchiostrazioni, al compenetrarsi di viscosità e cromie differenti. Questa costruzione additiva – strato su strato – in alcuni punti si coagula, si addensa in aggetti materici, in altri si alleggerisce in impronte sommesse, quasi impercettibili, dando vita a immagini pulsanti, vibranti che l’artista dispone in percorsi verticali e/o orizzontali. Le forme difatti si ordinano sulla carta – spessa e dagli orditi visibili – in modo sequenziale creando una sorta di spartito visivo in cui agiscono e si legano l’una all’altra in una sorta di melodia remota"
Arianna Mercanti
"La personale dell'artista romano Valter Vari accompagnata dalla coreografia ‘Il cerchio’ di Natascia Maimone, utilizzando una molteplicità di linguaggi (pittura, installazione, musica e danza), affronta il difficile tema della violenza estrema di un essere vivente contro l'altro.
‘Tutti conoscono la tragedia del Toro, e possono facilmente udire il dolore urlato dalle sue carni e dal suo sangue. Ma chi conosce, chi mai potrà comprendere il dramma silenzioso del Torero?’
Questa in sintesi l'idea guida attorno a cui l'artista ha lavorato, riflettendo sulla natura della pulsione aggressiva, che è alla base del continuo riproporsi dell'eterna lotta tra bene e male.
Le opere pittoriche di Vari raccontano, attraverso la materia squarciata dagli ideogrammi/ferite in rosso/sangue che le bende bianche non riescono ad arginare, il dramma dell'uccisione del Toro (immagine simbolica di tutte le vittime della violenza) da parte del Torero (immagine simbolica di tutti gli aggressori): sulle ragioni, a prima vista illeggibili e misteriose come gli ideogrammi formati dal sangue versato, il lavoro della coscienza porta la luce dell'elaborazione (l'oro che dall'alto cade sulla tela).
La coreografia della Maimone, partendo dalla installazione centrale di Vari che rappresenta i due personaggi del dramma, cercherà di penetrare idealmente nell'animo del Torero, analizzando la complessa successione di emozioni e sentimenti che, appena compiuto il suo delitto, lo attraversano, e che lo condurranno infine al ricongiungimento con l'Amore Infinito, dopo un doloroso percorso interiore (il "cerchio", per l'appunto):
‘1- Sopraffazione sull'altro; 2-Compiacimento; 3- Smarrimento, incredulità; 4-Perché???; 5-Tristezza; 6-Solitudine; 7-Perché? perché???; 8-Cercare; 9-Rabbia e disperazione; 10-Cambiamento; 11- Lenta consapevolezza (di se stessi e quindi di tutto ciò che é al di fuori); 12-Cercare, scavare, approfondire; 13-Spinta verso il mistico; 14-Accettazione del proprio limite; 15-Accettazione del cerchio; 16-Senso di fraternità; 17-Ricongiungimento, Amore Infinito’.
Allora forse le ferite di Vari non sono solo quelle che squarciano le carni della Vittima, ma anche quelle che dilaniano ora l'Assassino, e ancora quelle, antiche devastanti e incurabili, che lo hanno reso tale".
Loretta Sapora
"Diaframmi circolari legati al processo di filtraggio dell’olio, che l’artista sottrae al consumo, alla temporale fisicità e funzionalità dell’oggetto. La superficie dipinta si fa immateriale, fluttuante espressione della percezione visiva dell’artista che guarda il mondo attraverso un caleidoscopio, dove è possibile scorgere la molteplicità e la frammentarietà del reale, nello spazio dello stupore, della meraviglia, dell’emozione della prima volta".
Serena Mariani
"La ricerca del nuovo ha spinto Valter Vari verso un immaginario formale decantato da possibili meraviglie naturalistiche di ordinaria manifestazione speculativa. Pertanto, non destano sorpresa i materiali eterogenei entrati a far parte del suo bagaglio tecnico; materiali spesso di recupero che nell’utilizzazione attengono alla duplice funzione di supporto e di partecipazione alla costruzione dei singoli eventi creativi. Tele, oli, plastiche, carte da parati, inchiostri tipografici compongono il caleidoscopio di immagini attraverso le quali l’artista decanta, appunto, le sue persistenti emotività correnti. Il linguaggio resta ancorato ad un’esposizione narrativa astratto-informale che incalza con impronte pittoriche gestuali. Nel "nuovo" di Vari progredisce l’excursus di quegli artisti che, nell’immediato dopoguerra, da Parigi a Tokio, da New York a Roma, diedero consistenza ad un prevalente linguaggio, grafico e formale, privo di un segnale concettuale evidente con un fare operativo basato sulla velocità di esecuzione, senza referenti naturalistici e simbolici".
Emidio Di Carlo
"Nello spazio bianco del possibile, l’artista imprime il proprio percorso esistenziale, il proprio Io nel mondo. Il tracciato si fa orizzontale e il colore, addensandosi verso il centro, ci spinge ad un raccoglimento interiore. L’istallazione invita alla lettura di una storia narrata senza parole".
Serena Mariani
"Il gesto casuale e inconscio del rullo che scorre sulle tele lasciando l’impronta del passaggio creativo e informale dell’artista, traduce pur sempre un certo grado di volontà e di dominio del mezzo artistico, che l’autore compie nel momento in cui varia sapientemente gli effetti di densità e di maggiore o minore mescolanza del colore. Qui infatti la trama coloristica rimanda proiezioni visive maggiormente intense e calde, generate questa volta, invece che dall’accostamento, dalla compenetrazione dei tre colori primari".
Serena Mariani
"In questo monocromo nero, il conflitto interno tra razionale e inconscio emerge in tutta la sua drammaticità, in un gesto liberatorio che inevitabilmente richiama alla memoria un famoso test psicologico proiettivo, di fronte al quale ognuno di noi può dare libero sfogo alla propria immaginazione".
Serena Mariani
"La mostra ’60 Percorsi’ nel momento in cui si pone come corollario di opere, per l’appunto sessanta, definito nel numero, ma mai definitivo, a cui l’artista è pervenuto nel corso degli anni di sperimentazione linguistico formale che lo hanno contraddistinto, sfugge a qualsiasi tipo di quantificazione limitata e limitante e si pone allo sguardo dello spettatore come parte di un tutto.
Il tema della percorrenza, del transito, dell’attraversamento, nello spazio espositivo di questa mostra, si fa opera esso stesso. 60 Percorsi è una mostra in cui ogni singolo lavoro cessa di essere autoreferenziale, per testimoniare un’unica opera e quindi un unico percorso, quello dell’artista Valter vari, che dalla tela all’istallazione, dal gesto pittorico a quello salvifico di recupero dei materiali agricoli e industriali, ci spinge a recepire l’opera non come manifestazione finale di un processo creativo, bensì come l’epifania di un divenire artistico. I percorsi sono l’iter creativo, l’impulso totalizzante dell’autore che si manifesta come frammento nelle singole opere e talvolta nella singola opera. Ma sono anche i percorsi esistenziali, nel momento in cui l’arte e la vita si confondono in una trama inestricabile, nella quale non ci è dato distinguere dove inizia una e finisce l’altra. L’arte quindi come percorso senza meta finale che, attraverso le opere, si attiva nel sentire e nelle coscienze di chi ne fruisce, ramificandosi e spargendosi all’infinito".
Serena Mariani
"Valter Vari ha donato alla città di Mentana una delle più belle mostre che ho avuto il piacere di ammirare negli spazi espositivi comunali della Galleria Borghese. Pitture, installazioni, sculture, strutture e forme, sapientemente lavorate e colorate.
Forme dentro le quali si è attirati d’istinto perché evocative di fossili appartenuti a mandrie di dinosauri estinti, attirati all’interno dell’emiciclo di un coro dove imponenti leggii sorreggono spartiti dalle melodiose armonie che riempiono le navate dello spazio. Cosa dire poi dei coloratissimi ombrellini orientali impilati come a formare un tronco di dischi variopinti, diventati strumenti di comunicazione di un artista che non difetta certo di fantasia, creatività e genialità esecutiva. Anche l’impiego di materiali improbabili diventa scontato, nel senso dell’accettazione immediata della forma e del messaggio che Valter Vari vuole trasmetterci".
Giorgio Bertozzi
"Dalla caotica e casuale stratificazione di cromie ancora blu, rosse e gialle, sembrano emergere con maggior decisione delle tracce nere, come a voler razionalizzare, decodificare quello che è solamente il risultato di un automatismo psichico, prevalentemente informale".
Serena Mariani
"Arte e vita, materia e forma, si fondono nella sublimazione di un dato reale, dei riccioli di lamiera zincata, scarti di cantieri stradali a cui l’artista dona nuova vita. Una spirale intrisa di tempo storico, quello dell’oggetto prelevato, con un proprio vissuto, e il tempo dell’arte, attuale ed eterno.
Il movimento ciclico discendente della spirale rende efficacemente questo senso di continuità e di ciclicità della vita così come della creazione artistica".
Serena Mariani
"Nella esposizione ‘Orme’ alla Galleria Campioli Valter Vari presenta i suoi nuovi lavori, realizzati con tecniche varie e composti da legno, garze, fili e forme da scarpe dipinte. Da queste ultime discende il titolo della mostra ‘Orme’.
I fili definiscono uno spartito musicale e le forme da scarpe rappresentano le note ma, anche, le figure umane che lasciano reali segni del loro passaggio sulla terra, impronte di vita nello spazio.
La composizione è una palese sinèddoche, cioè un procedimento linguistico-espressivo che consiste nell’attribuire a una parte i significati del tutto: le forme da scarpe rappresentano i piedi, quindi gli uomini e la società; le orme alludono al vissuto, agli eventi, alla Storia.
Già in passato, nel 2005, Valter Vari aveva lavorato sul tema delle tracce ("Tracce su iuta", "Tracce su piombo", "Tracce su resina") legando il segno prodotto da un rullo tipografico al movimento lento e all’azione sistematica dell’operatore. In quel ciclo aveva contrastato la ripetitività della tecnica grafica intervenendo solo con sovrapposizione di materia-colore: ne aveva poi misurato gli effetti "casuali" (striature policrome) sulle diverse materie di supporto. In quel caso, grazie alla tecnica veloce e ai pochi tratti essenziali, emergeva una fluidità narrativa, lo scorrere del tempo e la varietà poli-sensoriale del vissuto.
In questi nuovi lavori Valter Vari realizza un vero sconfinamento disciplinare: dall’antropologia all’arte, dalla dimensione sociale all’estetica, dalla memoria del lavoro agricolo e artigianale all’idea di spazio morfologico.
Le nuove composizioni diventano tridimensionali e le aggregazioni non sono più frutto del caso, ma discendono da un ‘gioco sapiente’ di relazioni geometrico-proporzionali. Sono esito di stadi attuativi differiti nel tempo, in cui i vuoti, gli spazi residuali, sono altrettanto importanti quanto le forme piene.
Le ‘orme’ costituiscono una modalità interpretativa, di una vicenda e/o di un contesto, reale o solo immaginato; rappresentano una procedura metodologica, un’ermeneutica per capire e prefigurare un sito, un modo di ragionare sullo spazio costruito attraverso addizioni, addensamenti, deformazioni e ripetizione di elementi.
Allo stesso tempo i pentagrammi rappresentano un sistema di relazioni ordinate ed, essendo Valter Vari anche un progettista, si può immaginare che gli stessi e le singole parti possono rappresentare
anche disegni di città fantastiche e architetture libere, cioè interpretazioni astratte e atopiche dello spazio.
Le aggregazioni, per altri versi, sono interpretabili come figure plastiche senza tipologie reali e prestabilite, che traggono ispirazione solo dal contenitore della propria esperienza visiva. Nella rappresentazione l’architettura viene assorbita come memoria e rappresentata come figura a se
stante. Lo spazio fruibile si trasforma quindi in simbolo, da protagonista si tramuta in comprimario. Risulta pertanto un archetipo, come viene inteso da C.G. Jung, cioè prodotto della memoria collettiva.
Lo spazio prefigurato da Valter Vari, in virtù dell’interdipendenza delle parti, è immerso in un universo comunicativo e relazionale; egli stesso è costantemente alla ricerca di strumenti per una migliore trasmissione e comunicazione della propria visione espressivo-sensoriale. Nello specifico ricerca lo spazio della Storia dell’Arte e dell’Architettura; territori che devono essere attraversati e vissuti, ma anche valutati in relazione alla cultura che li hanno prodotti, quindi indagando le componenti sociali, storiche, antropologiche, tecniche e teoriche.
Inoltre, essendo le orme vere e proprie tracce permanenti dell’esperienza vissuta dalle generazioni che ci hanno preceduto, le stesse evocano ancora ricordi ancestrali. L’artista propone, infatti, una lettura a-storica che è ben sintetizzata dall’assioma di Edward Carr "La storia consiste essenzialmente nel guardare il passato con gli occhi del presente e alla luce dei problemi del presente".
L’intenzione è individuare valori da sostenere, rileggere, interpretare e amplificare legando l’esperienza storica agli indirizzi reali, in un arco temporale che dal passato ci riconduce al contemporaneo.
Anche la componente zoomorfica, le sembianze di animali preistorici (i "Dinosauri") cui le aggregazioni di componenti meccaniche riciclate ci riconducono, più che un gioco arbitrario risulta essere un esercizio interpretativo del mito e dell’archetipo, per dissolverne il potenziale evocativo in un repertorio di referenti più vasto possibile e lasciando aperta la possibilità di esplorare forme finalmente nuove, dove sia difficile riconoscere persino archetipi e fantasmi ancestrali.
Tra tempo sospeso, sogno e memoria, i collage di Valter Vari ci riportano a un mondo scomparso, a una condizione conciliata che non crea turbamenti o conflittualità. La capacità di assemblare immagini preesistenti va intesa, dunque, come una modalità per lavorare negli interstizi che la storia lascia aperti, come una necessità di verifica sulle potenzialità inespresse nei linguaggi contemporanei".
Massimo Locci
"Nel suggestivo spazio espositivo della Fondamenta Gallery, le stratificazioni di colori su ampie tele tripartite e le istallazioni dell' artista Valter Vari creano sorprendenti connessioni tra opere e spazio artistico, tra l' io dell' individuo urbano e lo spazio vissuto.
La città come paradigma di contraddizioni tra ciò che accoglie e ciò che estranea, come sostrato fatto di luci, suoni e fratture.
L' artista riesce felicemente, in una piacevole e godibile atmosfera underground, a risolvere quell' insanabile contrasto e perdurante conflitto tra senso di appartenza e sguardo critico. Le tracce del passaggio del singolo che vive e condivide la pluralità di spazi e luoghi della propria amata e sofferta città sono intrise di tempo storico, di contemporaneità, ma soprattutto di fratture e di continuità"
Serena Mariani
"Valter Vari, da fine architetto e artista, procede a investigare su luoghi e circostanze visive. Riesce a focalizzare attenzioni massime e a riscoprire oggetti particolari, quasi destinati all’oblio. Non manca di senso pratico, per la verità. L’occhio di architetto lo aiuta a bilanciare in equilibri serrati proposte visive quanto novità consistenti. In una vertigine di respiro pianifica e regola stesure cadenzate, efficaci. Per Valter Vari è sempre necessario qualificare una ricerca e una produzione attenta. Rimandi materici, linee geometriche, ritagliate corposità diventano forma e consistente sapienza. Il gesto dell’artista in commistioni stilistiche d’indiscusso effetto percettivo saldano gli spazi rappresentativi in scenari dialettici profondi. Di fronte alle opere di Valter Vari si è sollecitati ad afferrare pensieri affabulanti e fremiti energetici. Modula il suo battito sulla percezione dei sensi. Gli scenari conoscitivi seguono modelli di riferimento per navigare su rotte del pensiero, tese alla ricerca memoriale del fantastico"
Maurizio Vitiello
Valter Vari omaggia con la sua mostra personale una delle più celebrate realizzazioni urbanistiche del ricchissimo patrimonio architettonico italiano: Civita Di Bagnoregio, luogo dal fascino senza tempo.
"L’omaggio" risulta particolarmente efficace, perchè realizzato da Valter Vari, artista e architetto che ha contribuito in modo determinante al recupero e alla valorizzazione di ArtValle lo spazio espositivo di Bagnoregio. Valter Vari aggiunge alla maestria tecnica, che fa delle sue opere uno specchio estetico di elevato valore, dove l’artista si compiace del gusto del bello e del colto attraverso raffinati intrecci di ermetici enigmi che si sciolgono come nodi complessi solo per chi si sente pronto ad indagare le commistioni intellettuali e le Citazioni di rara intensità ed efficacia.
Le Citazioni contenute nelle opere del progetto espositivo di Valter Vari sono raffinate, colte, necessarie e sono una caratteristica importante, da molti realizzata inconsapevolmente, dell'arte che segna nella continuità il passaggio del tempo, caratteristica avente la stessa modalità d'approccio proprie del virus, che inganna, in una sorta di mascheramento, la cellula in cui penetra. Molti tra i più interessanti fenomeni, che nel momento germinale non sono mossi da finalità mercantili, agiscono come una positiva malattia all'interno di un organismo dato, che si modifica a partire da essa, che l'assorbe adattandola e adattandovisi.
La funzione attiva delle Citazioni è quanto di più distante ci sia dalla realizzazione della copia, utile, questa si, ad una operazione di banale mercato. Le Citazioni diventano un omaggio al genio creativo, spesso incompreso per i contemporanei, divenendo il combustibile culturale in quanto finisce per conferire all’autore la medesima missione svolta nei secoli dai discepoli dei filosofi.
Le Citazioni nell'arte rifuggono appunto da «un atteggiamento rigidamente competitivo» e si presentano sotto forma di benefico contagio. Questo è accaduto nei secoli e questo accade oggi con le opere con cui Valter Vari omaggia Civita di Bagnoregio.
Giorgio Bertozzi
"Valter Vari con intelligenza operativa fluidifica tracciati tra tradizione e sperimentazione per offrire inconsuete immagini e/o elaborati plastici. Con convinzione estrema appronta e affronta materie, linee di perlustrazione e segmenti d’indagine, nella voglia di far combaciare linee architettoniche, sussulti cromatici e reti segniche"
Maurizio Vitiello
Questi nuovi lavori di Valter Vari sono ospitati in uno spazio eminentemente simbolico: il Complesso della Ex Cartiera Latina sulla via Appia Antica a Roma che, da ambito di lavoro e di produzione, è divenuto luogo di fruizione culturale e conservazione di memorie. Uno straordinario connubio tra archeologia industriale e archeologia classica.
Il suo intervento artistico si fonda, proprio, sul convinci¬mento che i luoghi ove la presenza antropica è più antica, so¬no contesti naturalmente vocati a rivestire un ruolo cardine nel sistema delle relazioni sociali e delle sperimentazioni artistiche, in assoluto un luogo della co-municazione fisica e concettuale.
Nello specifico la via Appia Antica è la ‘strada’ per eccellenza, la via dei commerci più importante nei secoli, invera il topos del connettere e dell’attraversare i territori, rappresenta il nesso simbolico che lega l’occidente all’oriente, Roma al mondo ellenico e a Costantinopoli. Un luogo dove il confronto tra figure simboliche assume valori assoluti, come pochi, tra forme antropiche e paesaggio, tra architettura e arte, tra archeologia e produzione agricola, tra storia e memoria.
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Massimo Locci